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Salve, mi chiamo Mario e sono un artigiano del settore metalmeccanico.
Sono riuscito ad appaltare un lavoro per un'importante azienda romana. Per potere iniziare il lavoro stesso, però, gli uffici amministrativi di questa azienda mi hanno richiesto un documento chiamato DURC.
Vorrei sapere di cosa si tratta e quale iter devo seguire per farmi rilasciare questo documento.
Grazie.


Caro Mario,
il Durc, Documento Unico di Regolarità Contributiva è ad oggi il principale strumento per attestare che un'azienda abbia assolto agli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti dei maggiori istituti previdenziali e assistenziali; ha lo scopo di permettere alla generalità delle aziende con dipendenti, ma anche ai lavoratori autonomi, di usufruire dei benefici normativi e contributivi e di accedere ad appalti, subappalti di lavori pubblici, a lavori privati per il rilascio della concessione edilizia o alla Dia.

Il Durc è rilasciato dall’Inps, dall’Inail e, previa apposita convenzione con gli stessi, dagli altri istituti che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria.
Il Durc, che attesta la regolarità dei versamenti dovuti dagli istituti previdenziali deve contenere: la denominazione sociale, la sede legale ed operativa, il C.F. del datore di lavoro; la dichiarazione di regolarità ovvero non regolarità con indicazione delle motivazioni o della specifica scopertura; le date delle verifiche e del rilascio del documento; il nominativo del responsabile del procedimento.

L’attestazione della regolarità deriva dalla correntezza degli adempimenti previdenziali, la corrispondenza degli stessi con i versamenti effettuati, etc.. Il Durc viene rilasciato entro 30 giorni ed ha validità mensile (tranne che per gli edili)
La richiesta del Durc viene effettuata mediante l’apposita modulistica unificata predisposta dagli istituti previdenziali utilizzando di norma strumenti informatici collegandosi al portale dello Sportello Unico previdenziale; l’interessato deve accedere tramite i codici rilasciati dal sistema e compilare a video la modulistica usufruendo del servizio dato dai propri intermediari abilitati.

La richiesta avviene da parte dei datori di lavoro attraverso le aziende e gli intermediari abilitati, consulenti del lavoro, altri professionisti, associazioni di categoria, Pubbliche amministrazioni appaltanti; Enti Privati a rilevanza pubblica; Società  Organismi di Attestazione (SOA); etc..



La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulente del Lavoro

Salve, mi chiamo Mauro e sono il titolare di un piccolo esercizio di commercio al dettaglio di confezioni per adulti.
Ho già in forza alle mie dipendenze due lavoratrici a tempo indeterminato, ma ho bisogno di nuovo personale anche se non vorrei sostenere troppe spese.
So che esiste la possibilità di assumere con contratto di apprendistato e che questo mi può riconoscere alcune agevolazioni; vorrei sapere in cosa consistono.
Grazie.


Ciao Mauro,
l’apprendistato è un contratto a natura mista in cui un datore di lavoro utilizza la prestazione di un giovane lavoratore con l’impegno di preparalo e di portarlo alla qualificazione professionale; a fronte dell’impegno del datore di lavoro la legge riconosce delle agevolazioni contributive e normative le quali, proprio in questo momento storico, stanno vivendo profonde riforme.

Il legislatore ha infatti deciso di mettere a sistema tutta la previgente normativa in materia racchiudendola in un Testo Unico che disciplina in 7 Articoli l’intero istituto e che prevede, inoltre, misure volte a renderlo uno dei più efficaci strumenti per lo sviluppo del mercato del lavoro.
Oltre alla riforma normativa dell’apprendistato, il Legislatore è intervenuto anche attraverso la Legge di Stabilità per il 2012 prevedendo molto più che dei semplici sgravi contributivi.
Riassumendo, l’istituto prevede ad oggi tre diversi gradi di attuazione: l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, l’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e l’apprendistato di alta formazione e ricerca; per le imprese che occupano fino a 9 dipendenti è previsto lo sgravio totale dei contributi a carico azienda per i primi tre anni, conclusi i quali la contribuzione passerà al 10%; al termine dell’apprendistato continuerà lo sgravio del 10% per un altro anno; è prevista la possibilità di sottoinquadrare il dipendente di due livelli inferiori rispetto a quello della qualifica da raggiungere o di retribuirlo in percentuale sulla retribuzione del qualificato durante tutto il contratto; inoltre, per l’apprendista stesso, è prevista l’applicazione di un'aliquota contributiva ridotta rispetto a quella dei qualificati che è pari al 5.84%.

La normativa in materia contempla anche la non computabilità in organico dei lavoratori assunti in qualità di apprendisti ai fini dell’applicazione di particolari normative, come quella sugli obblighi occupazionali per i disabili e per la disciplina dei licenziamenti individuali. Le retribuzioni dell’apprendista sono inoltre escluse dal calcolo dell’Autoliquidazione ai fini Inail ed anche dal calcolo della base imponibile ai fini del pagamento dell’Irap.
Da ultimo, Italia Lavoro SPA, come organismo di assistenza tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha avviato un programma di incentivi all’assunzione di personale con rapporto di apprendistato per un totale di € 51.046.700. A partire dal 30 Novembre 2011, infatti, verrà erogata, dietro apposita richiesta, la cifra di circa € 5.000 per ogni assunzione finalizzata all’inserimento occupazionale con contratto di apprendistato.



La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulente del Lavoro

Salve mi chiamo Rossella, sono stata da poco assunta a tempo indeterminato presso un’azienda di telecomunicazioni, ma mio marito ha finalmente ricevuto il trasferimento dal lavoro che da tanto tempo aveva richiesto.
Dovrò quindi presentare le mie dimissioni? Come ed in quali termini?


Cara Rossella,
sulla base di quanto stabilito dall’Art. 2118 Codice Civile “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dandone il preavviso nei termini e nei modi stabiliti dalle norme; in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”.
Il Codice Civile si limita a prevedere l’ipotesi delle dimissioni, ma sono la giurisprudenza e la contrattazione collettiva a stabilire gli effettivi termini e le modalità dell’esercizio da parte del lavoratore di questo atto volontario di recesso.
Le dimissioni possono essere comunicate oralmente o, a seconda dei CCNL di riferimento, in forma scritta o tramite raccomandata; esse hanno efficacia dal momento in cui il datore di lavoro ne viene a conoscenza a nulla rilevando l’accettazione o meno da parte di quest’ultimo.
In via generale, chi esercita il diritto di recesso deve rispettare un periodo di preavviso che ha la funzione di evitare che l’immediata risoluzione del rapporto arrechi un pregiudizio all’altra parte. La durata del preavviso è stabilita dalla contrattazione collettiva e varia in base alle diverse categorie di lavoratori, al livello di inquadramento oppure all’anzianità di servizio; durante il periodo di preavviso tutti i diritti e gli obblighi delle parti rimangono immutati.
Nel caso di recesso con obbligo di preavviso la parte che non lo rispetta dovrà compensare l’altra con un'indennità sostitutiva del preavviso, la quale verrà calcolata sulla base della retribuzione normalmente spettante al lavoratore in atto al momento del recesso.
Se invece il rapporto di lavoro si è instaurato da poco e si è ancora nel periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o della relativa indennità.

Clicca qui per scaricare un fac simile di lettera di dimissioni


La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulente del Lavoro

Salve, sono socio e amministratore di una srl operante nel settore dell'ingrosso alimentare. Sono iscritto alla gestione separata dell'Inps, devo anche iscrivermi alla gestione commercianti?

La questione relativa all’obbligo della doppia iscrizione all’Inps di un socio lavoratore di una Srl commerciale che sia anche amministratore della stessa è stata ed è a tutt’oggi al centro di numerosi dibattiti.
Il presupposto dell’iscrizione alla Gestione Separata come assicurazione obbligatoria IVS nasce, sulla base di quanto stabilito dalla L. 335/1995, per i titolari, tra gli altri, di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, quale è il rapporto che lega un amministratore alla società commerciale.
D’altra parte il presupposto all’iscrizione alla Gestione Inps Commercianti viene stabilito dalla L. 662/96 per coloro i quali esercitino attività commerciali.
La stessa L. 662/96 all’Art. 208 precisa che chi svolga diverse attività, anche all’interno della stessa impresa, dovrà essere assoggettato all’assicurazione prevista per l’attività che viene esercitata in maniera prevalente
Stando alle suddette previsioni normative risulta difficile distinguere quale delle due attività risulti effettivamente prevalente e di fatto anche la giurisprudenza non ha ancora definitamene sciolto i dubbi sui criteri da seguire per un corretto inquadramento.
Per non incorrere nel recupero contributivo e nelle conseguenti sanzioni da parte dell’Inps è consigliabile procedere con l’iscrizione ad entrambe le gestioni seguendo così l’orientamento che l’Istituto previdenziale ha sempre adottato a riguardo.


La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulenza del Lavoro

Salve ho necessità di una vostra cortese risposta. Sono un disabile e per mettere in evidenza la mia persona mi sto dedicando per segnalare alle diverse aziende le agevolazioni retributive e contributive che ci sono per la mia assunzione.
Potreste darmi delle indicazioni sul tema?


In base a quanto stabilito dalla L. 68/99 le aziende con una determinata dimensione occupazionale sono obbligate ad assumere una percentuale di lavoratori che rientrino in particolari categorie protette come i disabili ed altri soggetti ad essi equiparati, ma nel rispetto di specifiche procedure. Il datore di lavoro ottempera, quindi, ad uno specifico obbligo di legge andando ad assumere lavoratori disabili iscritti previamente in apposite liste. La logica del Legislatore è quella di tutelare categorie svantaggiate di lavoratori per permettere loro di trovare un'occupazione nonostante la disabilità ponendo al contempo un obbligo nei confronti di determinati datori di lavoro. Resta ovviamente salva la possibilità di assumere un disabile anche senza esserne obbligati.
Veri e propri sgravi contributivi collegati al collocamento obbligatorio dei disabili non esistono.
La legge riconosce, però, alcune agevolazioni economiche riconosciute dalle Regioni e dalle Province autonome a coloro i quali procedono all’assunzione di disabili per il tramite di apposite Convenzioni stipulate con le strutture pubbliche competenti. Si tratta, nello specifico, di un contributo per l’assunzione compreso tra il 25% e il 60% del costo salariale per ogni lavoratore disabile, a seconda della gravità della menomazione e quindi al grado di invalidità.
Altra cosa è invece l’assunzione di lavoratori disoccupati da più di 24 mesi; si tratta di una ordinaria assunzione che permette una agevolazione contributiva ai datori di lavoro che assumono un disoccupato concedendo degli sgravi sul costo dei contributi a carico azienda; si tratta, però, di una agevolazione riconosciuta a tutti i lavoratori e non solo ai disabili.


La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulenza del Lavoro

Un dipendente che si licenzia di sua iniziativa, dopo quanto tempo ha diritto alla liquidazione da parte del datore di lavoro? È possibile che il totale (busta+tfr) gli venga spalmato in 10 rate mensili obbligandolo ogni mese a recarsi dall'ex datore di lavoro per ritirare l'importo? Inoltre quest'ultimo avrebbe anche calcolato di interessi per la dilazione. Vi pongo questo quesito perchè ho sentito pareri discordanti e sinceramente non ci sto capendo piu nulla.
 
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Risposta: Il trattamento di fine rapporto è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito ad un momento successivo rispetto a quello della prestazione dell’attività lavorativa ed è disciplinato dalla L. 297/82 che lo ha introdotto in sostituzione dell’indennità di anzianità. La normativa di riferimento ha subito nel corso del tempo numerose modifiche tra le quali spicca la riforma sulla previdenza complementare e prende in considerazione ipotesi diverse che vanno del numero dei dipendenti di una azienda alla possibilità di scelta di conferire il Tfr a forme pensionistiche complementari.
Do per scontato che l’ipotesi che mi si sottopone riguardi il caso più semplice e cioè quello di una azienda sotto i 50 dipendenti e che il lavoratore abbia scelto di far gestire il proprio Tfr al datore di lavoro. Diversamente il ragionamento che vado a sviluppare non avrebbe alcun senso.
Contrariamente a quanto accade di norma per gli elementi retributivi che vengono corrisposti  insieme alla retribuzione del mese in cui si realizzano, il Tfr viene erogato in un momento successivo; esso si compone, nel suo insieme, dalla somma di accantonamenti annui di una quota di retribuzione rivalutata periodicamente e deve essere corrisposto al lavoratore in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, a nulla rilevando la distinzione tra dimissioni del lavoratore e licenziamento da parte dell’azienda.
Sebbene il dipendente scelga di lasciare il Tfr in azienda, la legge non obbliga il datore di lavoro ad accantonare materialmente - mettere da parte -, la quota annua di Tfr spettante al dipendente; ciò, però, non giustifica il datore di lavoro a non corrisponderlo comunque all’atto della cessazione.
Al momento della cessazione stessa sarà possibile erogare il Tfr insieme alle altre spettanze di fine rapporto, oppure è configurabile l’ipotesi della sola erogazione del Tfr con un cedolino aperto appositamente il mese successivo a quello della cessazione per potervi inserire i dati relativi al coefficiente di rivalutazione del mese della cessazione stesso. Questo è il limite di tempo massimo che la legge ammette per liquidare il Tfr.
D’altronde si riconosce alle parti la possibilità di addivenire ad un accordo con cui il datore di lavoro si impegna nei confronti del dipendente, secondo scadenze più o meno lunghe, a corrispondere il Tfr spalmandolo in rate. In questa ipotesi è anche plausibile calcolare sul capitale che dovrà essere corrisposto una maggiorazione per la rivalutazione monetaria del fondo insieme agli interessi legali.
La logica dell’accordo deve rintracciarsi nell’interesse comune delle parti. In effetti il datore di lavoro può trovarsi nella momentanea indisponibilità di liquidità a sostenere l’intero Tfr e con l’accordo riesce ad assolvere al proprio obbligo in una maniera più comoda; d’altro canto il dipendente che si trova di fronte alle difficoltà del datore di lavoro ha interesse ad accordarsi con lui, scongiurando così l’ipotesi di dovere soddisfare il proprio diritto attraverso altri canali.


La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulenza del Lavoro

Buongiorno, vorrei porvi un quesito.
Sono titolare di un'impresa edile che svolge intonaci, pitturazioni e ristrutturazioni edili. Potrei utilizzare il sistema buoni lavoro per il lavoro di mio figlio studente che presterebbe qualche giorno durante quest'estate? Saluto


E' importante premettere che in considerazione delle poche informazioni in nostro possesso, la risposta al quesito ha carattere generale e non può essere considerata una consulenza.
Detto ciò, si precisa che la ratio del lavoro occasionale è quella di soddisfare l'esigenza lavorativa di un soggetto/datore di lavoro che si presenta in maniera, appunto, occasionale. Questa fattispecie di lavoro è diversa, quindi, tanto dal lavoro subordinato, quanto dalle collaborazioni coordinate e continuative tout court, proprio in ragione della loro occasionalità.

Oltre ad essere occasionale, però, questo tipo di lavoro è anche accessorio, quindi non prevalente rispetto all'attività svolta dal potenziale datore di lavoro. Ecco perchè si può applicare questa disciplina in tanti settori, ma solo a particolari condizioni. Questo può avvenire nell'insegnamento privato: un genitore, in una realtà familiare e senza scopo di lucro, affida ad un soggetto il compito di seguire il proprio figlio nello studio, ma non quello di genitore; una scuola, all'interno della propria attività di insegnamento pubblico, affida ad un pensionato il ruolo di controllare gli studenti all'ingresso e all'uscita dall'istituto, ma non affida al pensionato il ruolo di supplente.
Questi esempi sono utili per capire come certi presupposti siano fondamentali per la corretta configurazione di un rapporto di lavoro e nell'ipotesi configurata si può rintracciare soltanto il requisito dell'occasionalità.

Si considera, infine, che ogni impresa edile è tenuta a versamenti periodici alle Casse Edili territorialmente competenti e che queste ultime finanziano una parte importante della retribuzione dei dipendenti del settore edile stesso che il voucher non comprende. Inoltre ogni impresa, prima di adibire i propri dipendenti al lavoro, deve aver fatto loro sostenere un corso di sicurezza presso le Casse Edili stesse.


La risposta al presente quesito è stata elaborata dalla Dott.ssa Nicoletta Iannilli – Consulenza del Lavoro

Salve,
mi chiamo Luca e sono un imprenditore del settore della ristorazione.
Ho dei periodi di maggiore intensità di lavoro a cui non riesco a far fronte con il personale fisso che ho in forza; si tratta del fine settimana e del periodo feriale estivo ed invernale.
Ci sono delle soluzioni contrattuali che possano soddisfare l’esigenza di ricoprire questi periodi con ulteriore personale senza doverlo retribuire anche per i periodi di non lavoro?
Grazie.


Caro Luca,
la soluzione al suo problema è senza dubbio il lavoro a chiamata.
Il lavoro a chiamata, o intermittente, è un rapporto di lavoro subordinato sia a tempo determinato che indeterminato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne abbia effettivo bisogno, entro i limiti dettati dal D.Lgs 276/2003.
L’elemento fondamentale di questo contratto è che la prestazione non è effettuata con continuità, ma solo su richiesta del datore: infatti il contratto determina la facoltà per il datore di lavoro di chiamare il lavoratore una o più volte per lo svolgimento della prestazione, nel rispetto di un termine minimo di preavviso.

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