Il diritto straordinario trova legittimazione non solo nella Costituzione, ma anche in norme ordinarie, come accade per il potere di ordinanza.
La scienza del diritto amministrativo non ha affrontato direttamente il potere d’emergenza ma si è concentrata, piuttosto, sullo studio delle ordinanze di necessità e d’urgenza che, nel nostro ordinamento, ne rappresentano l’espressione più tipica e consolidata. Saranno quindi i presupposti e la natura di tali ordinanze gli oggetti della disamina.
L’affermazione della natura amministrativa lascia, infatti, spazio a problematiche relative al fondamento ed ai limiti delle ordinanze, poiché esse sfuggono per forza di cose alle regole del diritto ordinariamente vigente, dovendo colmare le lacune dell’ordinamento giuridico. È stata quindi la necessità a costituire il presupposto del diritto dell’emergenza, portando alla sostanziale corrispondenza tra «diritto di necessità del governo» e «diritto di necessità del popolo».

Un’efficace sintesi delle teorie della necessità è effettuata da FIORITTO A., “L'amministrazione dell'emergenza tra autorità e garanzie”: «Al pari dei decisionisti, i fautori delle teorie della necessità ritengono che i poteri straordinari siano illegali perché contrastanti con le previsioni costituzionali e legislativa. Mentre i primi semplicemente danno atto di tale inconciliabilità, i secondi ritengono che tali poteri possano trovare legittimazione nella fonte extragiuridica della necessità. Nella qualificazione della necessità si passa dalla teoria della ragion di Stato o decisionista (il fine della conservazione dell’assetto politico, economico e sociale legittima l’uso indiscriminato della forza), alla teoria della necessità come posizione giuridica soggettiva dello Stato (assimilabile alla legittima difesa, per cui è lecito utilizzare la forza per garantire l’esistenza stessa dello stato) alla teoria della necessità funzionalizzata (è obbligo dello Stato provvedere ai bisogni della collettività, per cui si giustifica il ricorso a qualunque mezzo giuridico necessario a tal fine), alla teoria della necessità come fonte del diritto. In tale ottica, applicata al caso d’emergenza, l’esercizio di poteri straordinari contrari alla Costituzione o alla legge sarebbero illegali ma legittimi in quando fondati sulla necessità. Per la teoria della necessità funzionalizzata, la necessità sarebbe un conflitto tra i fini dell’istituzione statale ed i mezzi disposti dal legislatore; come le altre teorie della necessità, anche questa parte dalla considerazione dei casi in cui l’azione statale, in caso di emergenza, si svolge contro la legge vigente, precisamente mediante violazione (per il perseguimento degli scopi primari dell’istituzione statale) delle norme che individuano le competenze ordinarie. Per la riconduzione di tale attività illegale all’interno dell’ordinamento, questa teoria considera che i fini istituzionali non sono sacrificabili dinanzi ai mezzi disposti dal legislatore, con la conseguenza che l’illegalità che ne deriva è necessaria e priva di alternative […]. La necessità, pertanto, è funzionalizzata al perseguimento degli scopi istituzionali, che sono il fine primario per lo Stato stesso; nel conflitto che si instaura in caso di emergenza tra il perseguimento dei fini istituzionali e il rispetto delle norme e dei mezzi disposti dal legislatore, i secondi devono cedere il passo. In ciò è condivisibile la teoria della necessità funzionalizzata, ossia nel fatto che essa individua gli scopi istituzionali da perseguire come costanti sia in situazione di emergenza che di normalità, così da poter essere qualificati come quel minimo di principi costituzionali sempre vigenti ed efficaci. In tal senso la teoria della necessità funzionalizzata si porrebbe come più convincente rispetto alle altre teorie della necessità».
 
Sempre in dottrina, ROMANO S., “Scritti minori” del 1950, esprime chiaramente la sua posizione circa la considerazione della necessità come fonte del diritto, affermando che: «la necessità è fonte prima del diritto, di quel diritto che scaturisce immediatamente e direttamente dalle forze sociali, in modo così categorico, esplicito, certo, da non permettere che tra i bisogni sociali stessi che determinano la norma giuridica e il rinvenimento e la dichiarazione di questa ultima si frapponga l’attività razionale degli organi competenti a questa dichiarazione. La necessità, così intesa, non è un presupposto della regula iuris, ma è essa stessa diritto, nel senso che questo è il suo prodotto immediato e, per dir così, di primo grado: il legislatore non fa che prenderne atto e consacrarla, non in quel modo largo, che gli concede un’ampia libertà, con cui – come comunemente si dice – egli non inventa ma raccoglie e dichiara il diritto che rinviene nella coscienza generale, ma in modo, per dir così, coattivo, che esclude la sua mediazione intellettuale, personale» (pagg. 194 e seg.). Nello stesso scritto: «(ndr La necessità) non ha legge, fa legge […] il che vuol dire che costituisce essa medesima una vera e propria fonte di diritto, la fonte prima ed originaria di tutto quanto il diritto, in modo che rispetto ad essa, le altre sono a considerarsi in certo modo derivate» (pag. 263).
 
Il concetto di necessità, però, si presta facilmente ad interpretazioni restrittive – nel momento di emergenza – delle libertà dei singoli e dello stesso diritto oggettivo, in nome della protezione di un interesse pubblico “superiore”, come la salute o la sicurezza.
Nella realizzazione pratica dell’istituto, infatti, si è potuto appurare un abuso nel ricorso al potere d’emergenza, rendondolo quasi uno strumento di amministrazione ordinaria. Spesso le ordinanze sono adottate in presenza di fatti e situazioni non sempre riconducibili all’emergenza in senso proprio, anche quando assumono tale tipo di evento a presupposto, le proroghe sono assai frequenti e le normative derogate sono di vario genere e talora sommariamente indicate.
Per fare in modo di evitare un’eccessiva compressione di tali sfere del diritto, il legislatore ha imposto nelle norme attributive di poteri di ordinanza extra ordinem vincoli di esercizio e via via sempre più appropriati presupposti di legittimità per l’esercizio delle deroghe reputate valide, da parte dell’amministrazione, per ovviare alla situazione di contingenza.
Le problematiche affiorate nel processo di disamina degli eventi emergenziali trovano il loro fondamento proprio nell’assenza di quelli che sono stati riconosciuti come i presupposti per l’utilizzo di ordinanze in deroga a disposizioni vigenti, fra tutti l’imprevedibilità dell’evento emergenziale. Tale presupposto fattuale, nel momento in cui si relaziona con l’ordinamento vigente, pone un problema giuridicamente rilevante che è sintetizzabile nella proposizione: il diritto vigente è inadeguato.

Per quanto concerne le ordinanze contingibili e urgenti, esse basano la propria ragion d’essere – come detto – sul concetto di necessità come presupposto del diritto emergenziale, definendo così una particolare condizione di sospensione della normativa vigente al fine di ripristinare, il più velocemente possibile, senza il carico di norme e procedure ordinarie, la situazione ex ante l’evento dannoso.
Data, quindi, la natura potenzialmente “eversiva” dell’ordinanza verso il diritto oggettivo e le libertà dei singoli, la scienza giuridica si è a lungo prodigata al fine di fissare presupposti di legittimità e condizioni di esercizio al potere eccezionale che da tale strumento deriva.
Nel corso degli anni è, pertanto, emersa una costellazione di principi cardine all’interno della quale si legittima l’utilizzo delle ordinanze di necessità ed urgenza.
Innanzitutto, il presupposto della necessità, in base al quale al verificarsi di un evento calamitoso, deve sussistere una assoluta ed oggettiva esigenza di intervento tempestivo da parte di un soggetto dotato di grandi poteri fruibili nell’immediato per fronteggiare l’emergenza. Al giudizio di necessità, fanno da corollario i presupposti della contingibilità e dell’eccezionalità della situazione. La prima, da intendersi come attualità o imminenza di un fatto eccezionale, quale condizione di difficoltà da eliminare celermente; la seconda, come una serie di caratteristiche raramente prevedibili in condizioni di normalità.
La necessità si innesta nel citato presupposto dell’imprevedibilità del fatto, in modo da distinguere un evento non “preventivabile” che possa ammettere un provvedimento sui generis non ordinario. Il fatto emergenziale, infatti, sopraggiunge in modalità straordinarie tali da esigere l’instaurazione dello “stato di eccezione”, a causa dell’alterazione della «civile convivenza». Come logica conseguenza di quanto fin qui asserito, tale provvedimento può e deve essere autorizzato previa la verifica dell’impossibilità di far fronte all’evento affidandosi a strumenti ordinari appositamente previsti dall’ordinamento, stante il carattere extra ordinem del potere in oggetto.

 
Al prodursi dei sopracitati presupposti all’atto che ne deriva è richiesta la conformità ad alcune condizioni.
In primis, la provvisorietà, da considerarsi come sinonimi di temporaneità. L’impossibilità di curare l’interesse pubblico «senza sospendere temporaneamente l’esecuzione di determinate leggi» richiede un bilanciamento in termini temporali. In altre parole, gli effetti prodotti dall’ordinanza devono avere un preciso termine finale, senza lasciare spazio, una volta terminata l’emergenza, a ripercussioni sul sistema ordinario delle leggi.
In secondo luogo, alla temporaneità si affianca il principio della proporzionalità del provvedimento adottato, per assicurare che esso, in relazione al suo scopo, non ecceda la finalità di una misura temporanea per la situazione contingente.
L’accorgimento giuridico adottato deve quindi essere adeguato e proporzionato al fine (nel quando e nel quomodo), proprio per disinnescare una potenziale continuità e stabilità di effetti e per «rispettare comunque le libertà fondamentali e i principi contemplati nella Costituzione assicurando in particolare l’inviolabilità dei diritti fondamentali ovvero la loro compressione solo in costanza della necessità di tutelare interessi di pari rango».
 
Il concetto di proporzionalità postula la corretta motivazione dell’atto, preceduta da un’istruttoria, quanto mai opportuna, da parte degli organi competenti circa la situazione di pericolo o di danno che si intende contenere.
In terzo luogo, altri presupposti “minori” possono rinvenirsi nella necessità di una precisa base legale; nella sottomissione dell’ordinanza alle regole dell’azione amministrativa e nel tentativo di evitare eccessiva compressione delle prerogative regionali.

Tra le principali norme attributive di poteri di ordinanza vigenti nell’ordinamento nazionale, oltre a quelle contenute nel Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza e nel TUEL che imputano poteri di ordinanza rispettivamente al Prefetto e al Sindaco, se ne annoverano altre relative a molteplici ambiti, dalla tutela dell’ambiente alla sanità.
Dall’osservazione del quadro generale è possibile, in primis, escludere la tipicità relativamente alle circostanze e al contenuto delle ordinanze che ne scaturiscono mentre sono per forza di cose definite le autorità competenti a emanarle, pena la violazione del principio di legalità ex art. 97 Cost.222.
Nonostante, infatti, si tratti sempre di organi territoriali, il potere è attribuito a soggetti diversi in ragione di un riparto di competenze per materia e per territorio, come il sindaco (a livello locale) ovvero un elemento dell’amministrazione centrale (ministro dell’interno, ministro della sanità, ministro dell’ambiente) o periferica (Prefetto) dello Stato.

Il primo riferimento è datato più di un secolo fa. Si tratta dell’articolo 7, legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, dove si prevede la possibilità che l'amministrazione disponga transitoriamente della proprietà privata per grave necessità pubblica.
Nonostante si tratti di una norma risalente al XIX secolo, l’art. 7 è stato recentemente richiamato nella sentenza della Cassazione, VI sez. Penale, n. 38259 del 25 settembre 2007, dove si è avuto modo di precisare e limitare il potere di ordinanza. Nella fattispecie, infatti, il Presidente di un Municipio di Roma aveva adottato un’ordinanza di necessità ed urgenza e si era poi riferito, nella sua difesa dall’accusa di abuso di ufficio – di cui all’art. 323 c.p. – al potere dell'autorità amministrativa di disporre della proprietà privata per grave necessità pubblica, contemplato appunto dall'art. 7 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, affermando anche di aver ricevuto una delega di tale potere da parte del Sindaco. Per tutta risposta, il giudice di legittimità ha ritenuto che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 323 c.p., non rientrava nei poteri del Sindaco l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti per la requisizione di immobili da assegnare per usi abitativi a soggetti bisognosi raggiunti da un provvedimento di sfratto.
Secondo la Corte, il Sindaco non era legittimato all’adozione del provvedimento di requisizione, poiché la situazione in cui versavano i soggetti nei cui confronti era in corso il provvedimento di sfratto non aveva di per sé i caratteri né di eccezionalità né di imprevedibilità, ricorrendo abitualmente in ogni agglomerato urbano ad alta densità abitativa; inoltre, aggiunge sempre la Cassazione, il potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili e urgenti non è delegabile ad altri, neanche ai Presidenti di Municipio. In altre parole, il provvedimento adottato dall’amministratore comunale, anche se diretto a perseguire una finalità pubblica, è stato considerato illegittimo in quanto la competenza in materia spettava al Prefetto e la situazione dei soggetti sfrattati non rivestiva il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità che giustificava i provvedimenti di requisizione, che possono essere adottati solo per la salvaguardia di un interesse pubblico che altrimenti potrebbe essere irrimediabilmente compromesso.
Nella trattazione delle ordinanze in oggetto ed in particolare dell’art. 7, l. 2248/1865, di notevole interesse la riflessione di RAZZANO G., “Le ordinanze di necessità ed urgenza nell'attuale ordinamento costituzionale”: «le ordinanze contingibili e urgenti, oltre ad essere figure di dubbia collocazione nel sistema delle fonti del diritto, presentano anche la peculiarità di una rilevanza al contempo costituzionale, amministrativa, civile e penale. Con riguardo a quest’ultimo profilo, non va infatti trascurata la circostanza per cui esiste una sanzione penale generale per l’inosservanza dei provvedimenti emessi da una pubblica autorità; e che, in assenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza da parte dell’Amministrazione, si profila il reato di abuso d’ufficio in capo all’autorità che l’ha emessa».
 
Una ulteriore norma attributiva del potere di ordinanza si rintraccia nell’articolo 2 del Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) per mezzo del quale il legislatore ha incaricato il Prefetto, in occasione di gravi ed urgenti necessità pubbliche, di servirsi di «provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica».
Pur non essendo espressamente ribadita, la presenza della capacità derogatoria del potere si trae con facilità dalla connotazione straordinaria dell’attribuzione di competenza e soprattutto dal riferimento alle misure indispensabili. Proprio il concetto di “indispensabilità” rende il potere affidato dall’art. 2 a contenuto sostanzialmente libero.
Difatti, appare evidente come la norma in questione, non predeterminando neppure la materia entro la quale possono intervenire le ordinanze e consentendo al Prefetto di ricorrervi non appena reputi necessario ed urgente l’atto derogatorio, delinei un esempio di massima estensione del potere di ordinanza, indeterminato tanto nel presupposto, quanto nell’oggetto.
Tale disposizione risulta notevolmente emblematica con riguardo al problema costituzionale delle ordinanze di necessità e di urgenza. Proprio con riguardo a questa facoltà del Prefetto, la Corte costituzionale – con la sentenza 4 gennaio 1977, n. 4 – ha voluto accogliere la differenza fra atti necessitati e ordinanze; i primi, come le seconde, fondati sulla urgente necessità; ma i primi, emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto; le altre, nell'esplicazione di poteri soltanto genericamente prefigurati dalle norme che li attribuiscono e perciò suscettibili di assumere vario contenuto, per adeguarsi duttilmente alle mutevoli situazioni. A questa seconda categoria apparterrebbero le ordinanze di cui all’art. 2 del T.U.
Sul piano normativo si configura, quindi, una competenza generale capace di fronteggiare sia i fatti emergenziali naturali (catastrofi), sia connessi con l’attività dell’uomo (disastri ambientali), sia le emergenze pubbliche (criminali, economiche, sociali).

Tale estensione, ovviamente, ha posto notevoli difficoltà “interpretative” dello strumento ordinanza, sia dal punto di vista squisitamente formale, inerendo una sua eventuale forza di legge, sia, e soprattutto, dal punto di vista pratico, ovvero circa l’effettiva capacità delle ordinanze di incidere sul tessuto normativo.
Va segnalato che, nonostante l’ampiezza del modello normativo, nella prassi se ne registra, soprattutto negli ultimi due decenni, una sporadica e delimitata applicazione perlopiù in tema di svolgimento degli incontri di calcio (sulla base alle indicazioni dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, l’organismo cui vengono affidati compiti di coordinamento centrale delle iniziative da attuare in occasione di incontri ritenuti particolarmente a rischio) e di divieto di vendita e detenzione degli alcolici.

In materia ambientale è possibile identificare una tendenza normativa ad un uso disinvolto del potere di ordinanza, il quale possiede una portata generale ed un contenuto non predeterminato dalla legge. Tale tendenza, infatti, iniziata alla fine degli anni settanta, ha portato ad una progressiva erosione dei vincoli imposti tanto al contenuto quanto al carattere delle ordinanze, facendo da contraltare sia alle prime norme che attribuivano il potere di ordinanza, sia alle misure più recenti, fortemente influenzata dagli spunti critici forniti dalla scienza giuridica.
Risalendo, quindi, alla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente (Legge 8 luglio 1986, n. 349), il ministro può avvalersi dello strumento dell’ordinanza, in base al terzo comma dell’art. 8, senza un limite specifico legato al contenuto e al carattere dell’ordinanza stessa.
Pochi mesi dopo, la portata della competenza del ministro dell’ambiente è stata addirittura ampliata dall’art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, il quale dispone che, al di fuori dei casi contemplati dal citato art. 8, comma 3, l. 349/86, egli può emettere ordinanze contingibili e urgenti per la tutela dell’ambiente «qualora si verifichino situazioni di grave pericolo di danno ambientale e non si possa altrimenti provvedere».
Come anticipato poc’anzi, dottrina e giurisprudenza hanno dedicato grande attenzione nel corso degli anni novanta e nella prima decade del XXI secolo al potere di ordinanza, in particolar modo ai suoi presupposti legittimanti ed alla sua capacità derogatoria, alla luce del notevolissimo utilizzo che se ne fece in quegli anni.
Il Codice dell’ambiente (D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è sicuramente uno dei frutti di tale attenzione.
Questi, infatti, regola rilevanti poteri di ordinanza caratterizzati da uno stretto perimetro di discrezionalità amministrativa, grazie alla formulazione normativa che predetermina in modo stringente i connotati essenziali, ovvero il contenuto delle misure utilizzabili, il relativo procedimento di adozione e, soprattutto, i presupposti legittimanti.

Nella rassegna delle fonti attributive dei poteri di ordinanza la moderna pietra miliare è senza dubbio la citata legge 225 del 24/2/1992, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile.
La norma rappresenta l’approdo finale di un percorso evolutivo della materia della protezione civile, il quale delinea un sistema di tipo policentrico che coinvolge l’amministrazione statale (centrale e periferica), le regioni e gli enti locali, nonché soggetti di varia natura, pubblica o privata, individuale o collettiva.
La modalità del sistema di intervento si palesa nella suddivisione degli ambiti di competenza, normati dall’articolo 2 della legge n. 225/1992, che indica il soggetto deputato ad intervenire in base alla tipologia degli eventi:
«Ai fini dell'attività di protezione civile gli eventi si distinguono in:
a. eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b. eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;
c. calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo» (237 Articolo 2, l. n. 255/1992, rubricato «Tipologia degli eventi ed ambiti di competenze», così come modificato dal decreto legge 15 maggio 2012, n. 59, «Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 113 del 16 maggio 2012).

Di particolare interesse il comma 3, apripista dell’articolo 5 della stessa legge e norma attributiva, al secondo comma, del potere di ordinanza; l’articolo descrive un vero e proprio procedimento normativo, intento a contrastare la più ampia gamma di avversità. Dal punto di vista formale, la norma appare ben congegnata sotto il profilo del coordinamento dell’attività in deroga, in primis poiché è la stessa legge la fonte primaria di legittimazione delle ordinanze contingibili e urgenti; in secondo luogo, data la previsione della preventiva dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo ed, inoltre, l’obbligo di indicare, nel provvedimento con cui si delegano i commissari, i contenuti dell’incarico, i tempi e le modalità di esercizio.
Infine, con specifico riferimento alle ordinanze adottabili è poi previsto il rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, la motivazione, la pubblicazione, l’indicazione delle principali norme cui si intende derogare.
Nonostante gli accorgimenti del legislatore, sarà la prassi a far emergere importanti perplessità, tanto sul perimetro di intervento, quanto sulla tenuta costituzionale della norma.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 31/10/2016 - Serie di articoli dedicati all’emergenza nei contratti pubblici