La giurisprudenza della Corte costituzionale ha dato una fisionomia abbastanza elaborata al potere straordinario, intervenendo sulla questione già dal 1956, con la sentenza n. 8 del 2 luglio e valutando le ordinanze di necessità e urgenza atti amministrativi, «adottati dal prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo e nell'ambito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti dell'ordinamento giuridico» (punto 3 del Considerato in diritto).
Successivamente, la Corte, con la pronuncia interpretativa n. 26 del 27 maggio 1961, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (Tulps) nella parte in cui non imponeva ai Prefetti, nell’adozione delle ordinanze di necessità, il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico. In particolare, in tale pronuncia il giudice delle leggi ha chiarito che «i provvedimenti prefettizi non possono essere in contrasto con i detti principi dovunque tali principi siano espressi o comunque essi risultino, e precisamente non possono essere in contrasto con quei precetti della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardinali dell’ordinamento, non consentono alcuna possibilità di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria» (punto 5 del Considerato in diritto).
Da ciò si è appreso come la Corte costituzionale, da una parte, non ammetteva che tali ordinanze potessero contravvenire a disposizioni della Costituzione o interporsi in materie coperte da riserva assoluta di legge e, dall’altra parte, affermava, al cospetto di riserve relative, l'opportunità di un intervento prefettizio, a condizione che la legge attributiva del potere indicasse i criteri idonei a delimitarne la discrezionalità. A tale impostazione è conseguita la declaratoria di illegittimità dell’art. 2 Tulps «nei limiti in cui esso attribuisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico».
Questo indirizzo è stato confermato e ulteriormente precisato anche nella sentenza del 4 gennaio 1977, n. 4, dove la Corte ha ribadito l’orientamento espresso in riferimento all’art. 2 Tulps, dichiarando che le ordinanze ex art. 20 Tulcp «sono provvedimenti amministrativi, soggetti, come ogni altro, ai controlli giurisdizionali esperibili nei confronti di tutti gli atti amministrativi» (punto 2 del Considerato in diritto).
Nella stessa sentenza n. 4/1977, il giudice delle leggi, inoltre, ha richiesto puntuali limiti all'esercizio del relativo potere affinché lo stesso fosse limitato nell'effetto di “deroga”, e non anche di “abrogazione o di modifica” e ha chiarito ulteriormente la necessità di «una specifica autorizzazione legislativa che, anche senza disciplinare il contenuto dell'atto (questo in tal senso può considerarsi libero), indichi il presupposto, la materia, le finalità dell'intervento e l'autorità legittimata».

Nel termine di una decade, la Corte costituzionale si è di nuovo pronunciata sul tema dei poteri di ordinanza con la sentenza del 3 maggio 1987, n. 201. La Corte, dimostrando una più ragguardevole attenzione alle complesse problematiche poste dalla deroga a leggi da parte di atti amministrativi, nella pronuncia 201/1987 ha asserito che «va riconosciuto che nel nostro ordinamento costituzionale non sono individuabili clausole che autorizzino in via generale modifiche, o anche soltanto deroghe, alla normativa primaria con disposizioni relative tanto ai casi singoli quanto ad una generalità di soggetti o a una serie di casi (possibili) per motivi di necessità e/o emergenza» (punto 5 del Considerato in diritto), giungendo a consentire la legittimità dell’esercizio di simili poteri, sulla base di un elenco di condizioni solo in parte coincidenti con quelle enunciate nel 1956 e nel 1961. La Corte, infatti, nella sentenza in esame, richiedeva che le ordinanze si fondassero su una «specifica autorizzazione legislativa che, anche senza disciplinare il contenuto dell’atto [...] indichi il presupposto, la materia, le finalità dell’intervento e l’«autorità legittimata» (punto 5 del Considerato in diritto); che avessero un’efficacia derogatoria e non abrogativa o modificativa della normativa primaria; che rispettassero il limite delle riserve di legge, assolute o relative, secondo la graduazione teorizzata nella sentenza n. 26 del 1961; che fossero adeguate al fatto.

La giurisprudenza costituzionale successiva è intervenuta in presenza della nuova legge istitutiva del Servizio Nazionale di Protezione Civile, ma i problemi da risolvere sono rimasti impostati allo stesso modo dalla Corte, come mostra la sentenza 14 aprile 1995, n. 127. Nella pronuncia citata la Corte, vagliando per l'ennesima volta la legittimità costituzionale di una norma attributiva del potere di ordinanza e confermando la propria giurisprudenza in materia, ha ulteriormente qualificato i requisiti necessari ad armonizzare la competenza straordinaria con il sistema costituzionale. Lo stesso giudice costituzionale, prima di esaminare i singoli motivi di ricorso, si è trattenuto sull’ammissibilità del potere di ordinanza in deroga a normativa primaria – così come previsto dalla legge citata – affermando la natura eccezionale di esso e precisandone gli effetti, consistenti in deroghe temporalmente delimitate e non anche in abrogazioni o modifiche di norme vigenti (punto 2 del Considerato in diritto).
Il giudice delle leggi ha, inoltre, avvalorato la necessità che tale potere trovi fondamento in un'autorizzazione legislativa certa che ne circoscriva contenuto , tempi e modalità di esercizio, oltre a rimarcare l’esigenza che sussista una “necessaria proporzione” tra emergenza e misure atte a fronteggiarla (punto 2 del Considerato in diritto).

Più di recente, la Corte costituzionale si è espressa con la sentenza n. 171 del 30 maggio 2007, in seguito al sollevamento, in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost., della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80 per palese insussistenza del requisito del «caso straordinario di necessità e urgenza», da parte della Corte di cassazione, con ordinanza del 17 aprile 2004. Secondo il giudice delle leggi «L'utilizzazione del decreto-legge – e l'assunzione di responsabilità che ne consegue per il Governo secondo l'art. 77 Cost. – non può essere sostenuta dall'apodittica enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza, né può esaurirsi nella constatazione della ragionevolezza della disciplina che è stata introdotta».
 
Si evidenzia, infine, la sentenza n. 115 del 4 aprile 2011 (giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000 sollevato con ordinanza 22 marzo 2010 del TAR Veneto), nella quale la Corte - una volta riconosciuto che la norma censurata «attribuisce ai Sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana» (punto 4 del Considerato in diritto) - annulla la disposizione nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti».
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 12/10/2016 - Serie di articoli dedicati all’emergenza nei contratti pubblici