La normativa dedicata agli appalti pubblici prevede la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando quale strumento che, agendo in deroga a molti aspetti della procedura ordinaria ad evidenza pubblica, permette di soddisfare la necessità di accelerare e rendere più flessibile la scelta dell’operatore privato in casi particolari, tra i quali l’estrema urgenza.
Il carattere di eccezionalità della procedura è quindi motivo di una imprescindibile sofferenza della tenuta concorrenziale del settore, poiché – si ricorda – nella trattativa privata la stazione appaltante ha facoltà di valutare discrezionalmente i requisiti dell’appalto mediante una negoziazione di natura riservata con i soggetti selezionati.
Ai sensi dell’art. 57, comma 2, lett. c), del Codice degli appalti, la procedura negoziata senza la previa pubblicazione di un bando di gara è consentita «nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti».
Sarà questa la formula generica e atipica che permetterà la prevaricazione delle norme di evidenza pubblica:
non vengono, infatti, inquadrati né la fattispecie dell’evento imprevedibile, né quali eventi possano generare la congiuntura di estrema urgenza. In questo modo, i soggetti pubblici, avendo piena autonomia nel distinguere uno stato di urgenza, hanno in più occasioni aggirato gli istituti giuridici ordinari per le commesse pubbliche – spesso di difficile applicazione e caratterizzati da una tempistica prolissa – e utilizzato procedure straordinarie, anche adducendo presupposti insussistenti. Tra le conseguenze, come meglio si analizzerà, di tali escamotage procedurali si annoverano spesso casi di corruzione e la moltiplicazione degli oneri per l’esecuzione dei lavori.
L’impiego improprio delle procedure negoziate in luogo delle procedure aperte o ristrette ha, quindi, aperto il varco alla progressiva dilatazione della nozione di emergenza, che ha mutato il sistema istituzionale, fino ad incrinarne gli stessi principi di rango costituzionale.
Lo strumento tecnico-giuridico che ha permesso una così profonda distorsione è la legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile. Questa ha contribuito al rafforzamento di un sistema derogatorio – parallelo e alternativo a quello ordinario – permettendo una legale dilatazione dei presupposti dell’emergenza e lo stabilizzarsi delle deroghe alle leggi vigenti ed al sistema ordinario delle competenze, attraverso il ricorso imponente del Consiglio dei ministri alla dichiarazione dello stato di emergenza, che permette di procedere con ordinanze di necessità ed urgenza o di autorizzarne l’adozione.
 
Proprio le ordinanze di protezione civile sono divenute il dispositivo tramite il quale le pubbliche amministrazioni hanno eluso le regole dell’evidenza pubblica, in virtù della possibilità – prevista dalla legge n. 225/92 – di emanarle in deroga ad ogni disposizione vigente, seppur nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.
Tale forza derogatoria riconosciuta alle ordinanze, sommata all’incidenza economica del fenomeno (dal 2000 al 2012 l’importo della spesa globale impiegata tramite 514 ordinanze supera i 20 miliardi di euro), ha determinato la sottrazione di una considerevole porzione di mercato alla disciplina ordinaria del Codice dei contratti pubblici e alle ordinarie forme di controllo della spesa. In più, in molti casi il continuo riproporsi dell’emergenza ha finito con il determinare la perdita dei caratteri della eccezionalità ed imprevedibilità del fenomeno da contrastare ed ha portato altresì ad una dilatazione dei tempi dell’intervento straordinario oltre ogni riferimento logico e funzionale legato all’emergenza stessa.
È, quindi, opportuno sviscerare le caratteristiche dei poteri di emergenza, per identificarne la natura giuridica, le tipologie e le criticità derivanti dal loro utilizzo.
 
Il conferimento di poteri straordinari in deroga alle categorie convenzionali di attribuzione – in particolari circostanze – rappresenta da lunghi anni materia di dibattimento, sia in ambito giurisprudenziale che dottrinale.
Tali poteri speciali – che si distinguono dalla capacità generale di diritto privato che spetta ad ogni soggetto dell’ordinamento e anche alle pubbliche amministrazioni – si pongono l'obiettivo generale di gestire situazioni, che si possono definire "non ordinarie", per le quali la normale tecnica del bilanciamento dei poteri non è appropriata per tutelare opportunamente gli interessi coinvolti. La risultante di ciò è, quindi, il radicarsi della necessità del riconoscimento di importanti facoltà dal contenuto non predeterminato, pur sempre rispettose di un criterio di proporzionalità rispetto alla tutela dell’utilità pubblica coinvolta.
Va ricordato che in conseguenza della natura del potere amministrativo come capacità speciale, il contenuto minimo della disciplina normativa dei singoli poteri amministrativi deve individuare il soggetto, il tipo di atto giuridico produttivo di effetti cui l’esercizio del potere dà luogo, l’interesse pubblico specifico alle cui cure in concreto il potere è deputato e gli effetti che esso è capace di produrre.
In base al grado di definizione degli elementi del potere amministrativo si possono distinguere tre accezioni di potere straordinario.
Il primo caso attiene propriamente al profilo soggettivo del potere, laddove per far fronte ad una specifica esigenza operativa si costituiscono una tantum organi straordinari – ovvero non previsti nella struttura organizzativa di un singolo ente amministrativo, ma impiantati nell’ente stesso – chiamati ad esercitare poteri normalmente previsti dalle norme in capo all’ente. In questo modo si conserva l’ordine delle attribuzioni e la predeterminazione normativa, sul piano sostanziale, dei poteri di cui si tratta.
La seconda accezione di potere straordinario concerne l’impiego di poteri ordinari in situazioni straordinarie e si concretizza in provvedimenti amministrativi tipici definiti atti necessitati. Di questi, la disamina più esaustiva proviene dal Giannini: «è provvedimento necessitato quel provvedimento che ha come presupposto una situazione di urgenza e che, in corrispondenza al principio di legalità, deve essere disciplinato dal legislatore in tutti i suoi elementi più importanti. Normalmente quando il legislatore affida all’amministrazione il potere di emettere un provvedimento amministrativo, le dà discrezionalità in ordine alla determinazione dei motivi. In genere lo schema è configurato come segue: il legislatore indica un certo motivo di interesse pubblico come motivo primario di quel provvedimento amministrativo, e affida all’autorità competente ad emettere il provvedimento il compito di accertare in fatto se e in quale misura il motivo si presenti. Negli atti necessitati noi abbiamo questo: che il legislatore compie esso stesso direttamente quel giudizio di valutazione dell’interesse primario e degli interessi secondari che normalmente spetterebbe all’autorità amministrativa» (Atti necessari e ordinanze di necessità in materia sanitaria, in Rass. amm. sanità, ora in Scritti, Milano, Giuffrè, 2002, pag. 297).
In questi casi, al cospetto di accadimenti imprevedibili che richiedono di intervenire in via d’urgenza sono previste dalla stessa norma deroghe alla disciplina comune circa l’esercizio del potere straordinario, il quale ciò nondimeno rimane dotato di tutti i suoi caratteri tipici, sia riguardo al soggetto, sia riguardo all’atto adottato e ai suoi effetti.
Infine la terza e più forte accezione di potere straordinario è quella considerata per porre rimedio a situazioni straordinarie attraverso la rottura dell’ordine prestabilito relativamente ad un determinato assetto di amministrazione (settore che ne è oggetto, poteri e competenze ivi previste). Si tratta del potere di ordinanza, che si manifesta nella pubblicazione di atti e/o provvedimenti dotati di rilevanza esterna, denominati ordinanze di necessità e urgenza (o contingibili e urgenti).

Le ordinanze, da un punto di vista definitorio, rientrano nell'alveo degli ordini. Questi ultimi rappresentano una categoria di provvedimenti amministrativi che ha come presupposto, per quanto concerne l’organizzazione amministrativa interna, un rapporto di gerarchia tra chi impartisce l’ordine ed il suo destinatario; diversamente, nei rapporti con i terzi, gli ordini sono provvedimenti che non palesano una soggezione all’organizzazione pubblica, ma unicamente segnano in concreto il comportamento da tenere da parte dei destinatari secondo quanto definito dalla legge.
In base a questa collocazione sistematica, lo strumento dell'ordinanza compone un atto a mezzo del quale l’autorità competente – in forza della potestà connessa alla carica ricoperta – prescrive, nei confronti di un soggetto o di una pluralità di soggetti, un obbligo comportamentale positivo (ordine di fare) o negativo (divieto di fare), il cui mancato rispetto comporta l’applicazione di una sanzione a carico dell’inadempiente.
Più esattamente, le ordinanze possono definirsi come «atti di autorità amministrative, adottabili sul presupposto della necessità e dell'urgenza del provvedere, per far fronte ad un pericolo di danno grave ed imminente per la generalità dei cittadini, con contenuto discrezionalmente determinabile e non prestabilito dalla legge e con il potere di incidere derogativamente e sospensivamente sulla legislazione in vigore, con efficacia (tendenzialmente) temporanea (così Razzano G., “Le ordinanze di necessità ed urgenza nell'attuale ordinamento costituzionale”).
Rispetto quindi agli atti necessitati, dove è la norma attributiva dello specifico potere a considerare in se stessa la propria deroga, nel caso dell’ordinanza di necessità e urgenza è proprio tale atto, amministrativo e non normativo che, di volta in volta, decide la deroga da operare; potendosi così considerare manifestazione del potere di ordinanza in senso stretto, cioè quale esercizio di potere amministrativo discrezionale extra ordinem.
 
In tali poteri straordinari si possono riconoscere due specie: il potere di ordinanza ed il potere di ordinanza del c.d. diritto dell’emergenza. I poteri della prima specie sono tradizionalmente imputati al Prefetto («Il Prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica. Contro i provvedimenti del Prefetto chi vi ha interesse può presentare ricorso al Ministro per l'Interno», articolo 2, Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 - Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) e al Sindaco («Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica»,  articolo 54, comma 2, Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL)», mentre i poteri della seconda specie sono emersi nell’ambito dell’ordinamento della protezione civile.
 
La dottrina ha sottolineato come la questione della natura e del fondamento del potere di ordinanza rientri nel risalente confronto circa l’esaustività dell’ordinamento giuridico, raggiungibile – alternativamente – mediante un procedimento di autointegrazione oppure un procedimento di eterointegrazione.
Quest'ultimo, in particolare, costituisce uno strumento eccezionale, in quanto le carenze non sono controbilanciate dalle fonti normative, piuttosto per mezzo di un intervento, non formalizzato dalla norma, dello stesso soggetto tenuto a trovare una soluzione ad un conflitto di interessi non precedentemente regolato a livello normativo.
In queste situazioni eccezionali, l’operato della Pubblica Amministrazione perderebbe il suo carattere di attività amministrativa – intesa come attuazione di una volontà antecedentemente e astrattamente manifestata dal legislatore – per assurgere al valore di attività «creativa o dispositiva». Tale attività dovrebbe essere applicata dagli organi amministrativi solo nelle ipotesi categoricamente predeterminate dall’ordinamento – rimanendo comunque subordinata al principio di legalità – poiché essa tratteggia una netta deroga all’ordinaria attività della Pubblica Amministrazione.
In queste fattispecie, infatti, gli organi amministrativi deputati creano un diritto per il caso concreto e specifico avvalendosi del potere extra ordinem di ordinanza in frangenti connotati da necessità ed urgenza, al fine di tutelare un pubblico interesse che nessuna norma vigente è in grado di garantire.

Il potere di ordinanza nella sua accezione più libera pone importanti problematiche principalmente sotto tre profili.
In primo luogo, l'indeterminatezza circa la natura, i presupposti legittimanti ed il contenuto della capacità extra ordinem incide fortemente sul rispetto del principi di legalità dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione, particolarmente nella sua declinazione nel principio di nominatività-tipicità dei provvedimenti amministrativi sì previsti, ma a contenuto discrezionale atipico.
In secondo luogo, per il carattere necessariamente eccezionale del potere in analisi, essendo funzionale proprio per affrontare circostanze che differiscono dall’ordinario.
Infine, per il fatto che l'esercizio del potere eccezionale può condizionare – anche gravemente – la sfera giuridica dei cittadini, nonostante ciò che dispone la legge.
 
Relativamente ai tratti specifici del potere di ordinanza, nella voce “Ordinanza (dir. amm.)” dell’Enciclopedia del diritto, il Bartolomei ne tenta un'elencazione esaustiva. Egli, infatti, individua innanzitutto la monocraticità del potere, assegnato sempre ad organi individuali detentori di pubblici uffici. Di seguito, ne evidenzia il polimorfismo quando osserva che sono poste in essere numerose forme del potere ovvero che uno stesso organo può essere beneficiario di una gamma di competenze. Inoltre, l’Autore pone all’attenzione del lettore il fatto che, a volte, sono previsti poteri di ordinanza primari in capo ad alcuni organi (ad esempio il Sindaco) e sussidiari in capo ad altri (è il caso del Prefetto).
Il potere di ordinanza extra ordinem, inoltre, si distinguerebbe per essere libero nel contenuto o, comunque, privo di un contenuto predeterminato. Mentre, infatti, nel caso delle ordinanze c.d. ordinarie, il soggetto indicato dalla legge ha il solo compito di constatare il verificarsi dell'evento legittimante e, conseguentemente, di dichiarare lo stato d’emergenza – innescando il meccanismo di risposta dal contenuto predeterminato – nel caso delle ordinanze extra ordinem si assiste ad una mera attribuzione di competenza a dichiarare lo stato d’emergenza e ad intervenire con le misure straordinarie che si ritengono congrue alla norma, la quale si limita a specificare, in termini estremamente generici, sia il presupposto legittimante, sia l’intervento atto ad opporvisi.
In sintesi, le prescrizioni normative che imputano poteri al fine di adottare ordinanze d’urgenza non fanno altro che autorizzare i soggetti titolari «a compiere, eseguire, far eseguire, ordinare, vietare tutto ciò che contingentemente appare necessario e indispensabile per il raggiungimento del fine».
Rimanendo sul tentativo di categorizzazione, nel corso del tempo il nomen iuris di “ordinanze di necessità e urgenza”, nonostante sia stato più volte diversamente nominato, come ad esempio nel caso di “ordinanze particolari” per distinzione rispetto ai provvedimenti provvisori con forza di legge da emanarsi nei casi straordinari di necessità e urgenza, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione, ha sempre indicato, nel linguaggio del diritto amministrativo, provvedimenti emanati da organi monocratici del Governo o delle autonomie locali territoriali, legittimati a derogare alle normali disposizioni di legge.
Precisamente intorno alla previsione del decreto-legge all’articolo 77 Cost., la dottrina si è confrontata sulla possibilità di considerare tale articolo come una fonte costituzionale del potere di ordinanza extra ordinem, per quanto indiretta, ma l’orientamento prevalente è contrario a tale interpretazione, ritenendo che l’art. 77 indichi chiaramente il Governo centrale come unico soggetto legittimato ad intervenire con provvedimenti temporanei e derogatori aventi forza di legge, in casi di straordinaria necessità ed urgenza.
La necessità – avvertita dagli autori più avveduti – di fornire una fonte giuridica ed una conseguente classificazione delle ordinanze di necessità e urgenza è resa pressante dal fatto che esse, per affrontare situazioni di emergenza, deroghino alla legge ordinaria, dimostratasi per l’occasione non efficace.
È proprio la natura derogatoria del potere in analisi a costituire il discrimen per la formalizzazione di un criterio classificatorio atto ad inquadrare la categoria delle ordinanze contingibili e urgenti rispetto ad ogni altro atto della pubblica amministrazione. Si profilano, quindi, varie linee di pensiero, che vedono agli estremi, da una parte, la configurazione delle ordinanze quali provvedimenti amministrativi e, dall’altra parte, la classificazione delle stesse come atti normativi.

Una componente della dottrina, infatti, nella ricerca del parametro di distinzione, risale alla norma attributiva del potere di ordinanza, considerandola norma sulla produzione giuridica189; con la diretta conseguenza di rendere le ordinanze – si ricorda, a carattere necessariamente derogatorio190 – atti di natura normativa, ergo fonti del diritto.
Si pongono in una posizione mediana il Crisafulli V. ed il Bartolomei F.; quest’ultimo, in particolare, dopo aver qualificato l’ordinanza un «atto sui generis, nell’ambito degli atti eteronomi», aggiunge che «se è esatto quell'indirizzo giurisprudenziale […] secondo il quale funzione del potere (di ordinanza) è quello di colmare le lacune dell'ordinamento giuridico, le ordinanze extra ordinem, pur essendo atti amministrativi, in quanto emessi da organi della P.A., porrebbero in essere norme o normative destinate a regolare determinate fattispecie non altrimenti disciplinabili».
Sul fronte opposto, la tesi contraria al carattere normativo delle ordinanze di necessità, si basa essenzialmente sulla considerazione secondo la quale «negli ordinamenti contemporanei gli atti normativi sono tutti nominati e definiti dalle norme sulla normazione e fra essi non si includono le ordinanze d'urgenza» (Giannini M.S., “Diritto amministrativo”, vol. I, Giuffrè, Milano, 1970).
Tale posizione, inoltre, viene consolidata dal giudice delle leggi, il quale ha contribuito a collocare le ordinanze tra gli atti amministrativi, non essendo dotate dell’idoneità a modificare in maniera stabile l’ordinamento giuridico.
Esemplare, in questo senso, la pronuncia della Corte costituzionale del 4 gennaio 1977, n. 4, nella parte in cui, riferendosi alle ordinanze di necessità e urgenza, afferma che «sia che si rivolgano […] a destinatari determinati, prescrivendo loro un comportamento puntuale, sia che dispongano per una generalità di soggetti e per una serie di casi possibili, ma sempre entro i limiti, anche temporali, della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare, sono provvedimenti amministrativi, soggetti, come ogni altro, ai controlli giurisdizionali esperibili nei confronti di tutti gli atti amministrativi».
 
In conclusione, dalla disamina delle diverse ipotesi circa la natura giuridica delle ordinanze appare evidente come non esista un denominatore comune tra le ipotesi di ordinanza che non sia quello determinato dall’urgenza e dalla necessità.
Detto ciò, ad avviso dello scrivente va privilegiata l’ipotesi dell’ordinanza come atto amministrativo, tanto per esclusione dell’ipotesi contraria dell’atto normativo in grado di derogare al sistema giuridico delle fonti, tanto per la possibilità di bilanciare necessità di intervenire rapidamente con poteri atipici ed esigenze di garanzie legate ai limiti temporali dell’intervento stesso, alla sola sospensione – e non innovazione – dell’ordinamento giuridico ed al rispetto dei principi generali dell’ordinamento.
L’analisi dei poteri straordinari più che rispondere agli interrogativi in premessa circa la loro capacità di gestire e risolvere le emergenze, pone ulteriori questioni in merito alla loro struttura ed i presupposti che ne giustificano l’utilizzo; all’ampiezza delle deroghe legislative consentite e alla loro concreta efficacia.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 29/8/2016 - Serie di articoli dedicati all’emergenza nei contratti pubblici