Il livello di evoluzione comunitaria in materia di appalti pubblici è sintetizzato nel Considerando n. 2 della Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, secondo il quale: «L’aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico è subordinata al rispetto dei principi del trattato ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché ai principi che ne derivano, quali i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore ad una certa soglia è opportuno elaborare disposizioni di coordinamento comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali disposizioni di coordinamento dovrebbero essere interpretate conformemente alle norme e ai principi citati, nonché alle altre disposizioni del trattato».
 
In un’ottica di ricostruzione, il principio della disciplina si può rintracciare nell’Atto Unico Europeo, dove l’articolo 130 F stabilisce che la Comunità europea – posto l’intento di incrementare la competitività internazionale – deve consentire agli operatori del mercato di «sfruttare appieno le potenzialità del mercato interno della Comunità grazie, in particolare, all'apertura degli appalti pubblici nazionali, alla definizione di norme comuni ed all'eliminazione degli ostacoli giuridici e fiscali a detta cooperazione».
Nell’originaria versione del Trattato istitutivo dell’Unione Europea non vi era nessun richiamo specifico al settore degli appalti pubblici, ad eccezione degli articoli 132 e 223, i quali, però, non si potevano in nessun modo considerare in rapporto con il concetto di public procurement, riferendosi rispettivamente ai rapporti tra gli Stati membri e i territori d’oltremare ed al settore della difesa.
Per l’attuazione della linea impostata dall’Atto Unico, le disposizioni di riferimento sono gli articoli 4 e 14 del Trattato UE, mentre per quanto concerne i principi richiamati dal Considerando n. 2, i principali vengono direttamente normati nel Trattato UE. Ci si riferisce alla libera circolazione delle merci, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
Specifica attenzione è stata posta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia circa la differenziazione tra diritto di stabilimento e libera circolazione dei servizi. Il discrimen indicato tra i due principi è lo stabilimento dell’operatore nello Stato membro in cui il servizio viene erogato: in caso di servizio prestato da un soggetto stabilito nella stesso territorio, si configura una libertà di stabilimento; mentre, in caso contrario, le attività sono oggetto della libera circolazione dei servizi.
 
Dai suddetti principi ne derivano altri legati alla parità di trattamento, alla non discriminazione, al riconoscimento reciproco, alla proporzionalità e alla trasparenza.
In primis, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione si esprimono come appendice dei citati articoli 43 e 49 del Trattato UE. In particolare, la parità di trattamento «impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata».
Di seguito, in base al principio del mutuo riconoscimento, uno Stato membro è tenuto ad approvare la commercializzazione di prodotti e servizi da parte di aziende appartenenti ad altri paesi comunitari, a condizione che beni e servizi «rispondano in modo equivalente alle esigenze legittimamente perseguite dallo Stato membro destinatario».
In terzo luogo, il principio di proporzionalità richiede che i provvedimenti adottati siano equi e non eccedenti rispetto agli obiettivi perseguiti, comportando allo stesso tempo il minor onere possibile per i destinatari dei provvedimenti stessi.
Infine, il principio di trasparenza nell’azione del soggetto pubblico – funzionale tanto all’osservanza del principio di parità di trattamento, quanto al più esteso obiettivo di apertura del mercato – permette agli operatori economici presenti nei diversi settori di «valutare le proprie chanches partecipative in relazione ad un determinato affidamento».
A questi principi, la giurisprudenza ha affiancato quelli di equivalenza ed effettività, i quali si realizzano sia sotto il profilo processuale che sostanziale dei procedimenti di assegnazione degli appalti pubblici.
 
L’analisi delle fonti normative consente di affermare che i principi generali riscontrabili nella materia degli appalti pubblici rappresentano il cardine per la creazione di un mercato interno competitivo, laddove la nozione di concorrenza abbraccia sia i rapporti tra le imprese offerenti – imponendo una concorrenza in relazione alle richieste di acquisto – sia l’operato delle amministrazioni aggiudicatrici e degli Stati membri. Questi, in particolare, hanno l’onere di monitorare l’andamento delle procedure di aggiudicazione e di elaborare «strumenti di ravvicinamento delle disposizioni processuali, per fare sì che la tutela delle posizioni giuridiche garantite dal diritto europeo sia equivalente rispetto a quella prevista negli ordinamenti nazionali».
 
Una volta impostata la struttura di diritto primario – enunciato nel Trattato attraverso i principi fondamentali – per la costruzione di un mercato europeo degli appalti pubblici, gli organi di governo comunitario hanno ravvisato l’esigenza – come ricordato nella seconda parte del citato Considerando n. 2 della Direttiva 2004/18/CE – di adottare provvedimenti di diritto derivato, le direttive appunto, atti a coordinare le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti con valore eccedente soglie predeterminate, dato il loro effetto macroscopico sul mercato interno e spesso assegnati con logiche sostanzialmente protezionistiche legate ad esigenze di politica economica.
Una fotografia della generale difficoltà per le imprese di ottenere commesse pubbliche in paesi diversi da quelli di rispettiva appartenenza era già stata scattata nel 1988 da un progetto di ricerca promosso dalla Commissione CEE su "I Costi della Non-Europa", denominato “Rapporto Cecchini”. Sulla base delle valutazioni corredate dal rapporto, nel 1986 il valore d’insieme della domanda pubblica in ambito intracomunitario per beni e servizi teoricamente soggetti a concorrenza ammontava a circa 340 miliardi di ECU, ovvero 10% circa del prodotto interno lordo della Comunità. Di questa percentuale, però, solo lo 0,14% del PIL della CEE risultava aggiudicato ad imprese di Stati membri diversi da quello di appartenenza dell'ente appaltante, con ricadute in termini di maggiori costi a carico del contribuente europeo, che il rapporto stimava complessivamente pari a circa 22 miliardi di ECU.
 
Le prime direttive comunitarie sugli appalti pubblici risalgono agli anni Settanta. Il riferimento è alle due direttive in materia di appalti di lavori pubblici – Direttiva 71/305/CEE del 26 luglio 1971 – e di pubbliche forniture – Direttiva 77/62/CEE del 21 dicembre 1976.
Tra le disposizioni più importanti, i provvedimenti in oggetto trattavano il congruo livello di pubblicità dei bandi di gara; il divieto di norme tecniche discriminatorie; l'armonizzazione dei sistemi di aggiudicazione e l'applicazione di criteri oggettivi ed uniformi, tanto nella selezione qualitativa delle imprese che nell’aggiudicazione dei contratti. Le direttive 71/305 e 77/62, però, rivelarono presto intrinseci limiti alla loro concreta efficacia, legati soprattutto all’assenza di un corpus completo ed omogeneo di precetti comunitari; all’ampiezza delle eccezioni contemplate ed al valore economico dei settori espressamente dispensati dall’applicazione delle direttive stesse.
Il risultato fu che gli Stati membri mantennero notevoli aree di discrezionalità in ordine alla conservazione di procedimenti interni protezionistici di aggiudicazione degli appalti.

 
Criticità furono rilevate dalla Commissione europea nello svolgimento dell’analisi sull’impatto delle stesse direttive nel settore degli appalti pubblici, manifestatosi piuttosto marginale. Furono quindi enucleati i comportamenti inopportuni delle amministrazioni aggiudicatrici, connessi anzitutto al costante aggiramento degli obblighi di pubblicità, principalmente attraverso le tecniche della frammentazione e della sottostima dei valori effettivi delle commesse pubbliche, in modo da non sopravanzare le soglie minime previste per l'applicazione delle norme comunitarie; in secondo luogo, all'eccessivo ricorso a procedure di aggiudicazione non concorrenziali, ammesse dalle direttive comunitarie, ma solamente in relazione a circostanze specificamente individuate; in terzo luogo, all'uso essenzialmente protezionistico, come già detto, degli standard tecnici nazionali, privilegiati anche in rapporto a quelli corrispondenti di origine comunitaria ed infine, all’arbitrarietà e discriminatorietà dei criteri di selezione delle imprese e di aggiudicazione degli appalti.
Ciò fu possibile per la natura giuridica delle direttive, caratterizzata da un contesto di regole di armonizzazione e coordinamento nell’ambito del quale la direttiva stessa non esplica efficacia diretta. Gli Stati membri rimanevano così liberi di mantenere o emanare norme procedurali. Successivamente all’introduzione delle direttive 71/305 e 77/60, però, la latitudine della discrezionalità concessa agli stati comunitari nell’attuazione degli obblighi di risultato imposti dalle direttive divenne presto oggetto di analisi della Corte di Giustizia. In primo luogo, tale discrezionalità venne ancorata ai principi di proporzionalità e di leale collaborazione tra ordinamento comunitario e ordinamenti interni; in secondo luogo, si iniziò a considerare il carattere self – executing delle direttive in materia di appalti, riconoscendo alle direttive la capacità di produrre effetti diretti all’interno dei confini nazionali, pur in assenza di norme nazionali di attuazione.
 
L’analisi di questi aspetti costituì la base sulla quale la Commissione europea elaborò i progetti per il potenziamento delle regole europee per il settore degli appalti pubblici, suggerendo, non solo una revisione delle direttive 71/305 e 77/62 atta all’introduzione di una maggiore trasparenza ed una più rapida trasposizione di queste negli ordinamenti nazionali, ma anche l’ampliamento dello spazio applicativo delle direttive stesse ai settori “esclusi” e la totale apertura degli appalti pubblici di servizi.
Tali mozioni confluirono – in un primo momento – nel documento denominato "Il completamento del mercato interno: Libro bianco della Commissione per il Consiglio europeo", presentato nel  giugno del 1985, e successivamente anche nel citato Atto Unico Europeo che diedero un forte impulso alle istituzioni comunitarie per l’adozione della nuova serie di direttive adottate all’inizio degli anni Novanta, volte ad integrare e ad estendere la preesistente normativa.
 
In tema di lavori pubblici, alla Direttiva 71/305/CEE subentrò la Direttiva del Consiglio CEE del 14 giugno 1993, n. 37; mentre la Direttiva 77/62/CEE relativa agli appalti di forniture pubbliche fu sostituita dalla Direttiva del Consiglio CEE del 14 giugno 1993, n. 36.
Con il nuovo pacchetto di direttive dedicato agli appalti pubblici, inoltre, trovò dignità comunitaria anche il settore dei servizi pubblici, con la Direttiva 92/50/CEE del 18 giugno 1992.
Per ciò che concerne, infine, gli appalti di lavori e forniture aggiudicati nei settori dei servizi di pubblica utilità, fu prima adottata la Direttiva 90/531/CEE del 17 settembre 1990, poi sostituita dalla Direttiva del Consiglio CEE del 14 giugno 1993, n. 38.

 
In tema di pubblicità, le norme europee intervengono, a livello generale, con ampi obblighi informativi volti a perseguire un’effettiva imparzialità, facilitando alle imprese la partecipazione alle gare di appalto.
Il principio di pubblicità, quindi, è uno strumento finalizzato a garantire le funzioni principali che connotano le fattispecie procedimentali ad evidenza pubblica, ovvero la massima apertura ai potenziali interessati e la parità di trattamento.
Nonostante caratterizzi più di una fase, la pubblicità rileva al massimo grado in quella di apertura. Mediante la trasmissione del bando, infatti, si può assicurare nella misura più ampia la potenziale partecipazione del più alto numero di concorrenti e, di conseguenza, l’acquisizione del più largo spettro di opzioni fra cui scegliere.
Inoltre, è solo all’indomani della pubblicazione dell’atto di avvio del procedimento che quest’ultimo diviene vincolante per l’amministrazione, la quale è tenuta a darvi seguito, e soprattutto giuridicamente rilevante per i soggetti interessati a partecipare alla selezione.
In questo momento si cristallizzano i criteri che orienteranno la fase di valutazione, i quali – una volta stabiliti e resi pubblici – non saranno successivamente modificabili se non prima dello svolgimento delle valutazioni e comunque entro margini limitati, pena la ripubblicazione del bando. Qui la pubblicità risulta strumentale all’imparzialità: i criteri ormai immodificabili garantiranno ai partecipanti parità di trattamento e imparzialità di giudizio da parte dell’amministrazione e assicureranno a quest’ultima che la scelta sarà la conseguenza di una comparazione obiettiva tra più offerte confezionate proprio intorno alle esigenze predeterminate dalla stazione appaltante.
Le norme sulla pubblicità, se interessano soprattutto la fase iniziale dei procedimenti in questione, ne caratterizzano anche il successivo svolgimento: pubbliche sono le sedute di gara nel corso delle quali si aprono le buste contenenti le offerte economiche, soggetti a forme di pubblicità sono i risultati delle procedure di scelta del contraente.
La pubblicità, in conclusione, si pone come un principio generale che costituisce una connotazione caratterizzante delle procedure di evidenza pubblica, svolgendo la duplice funzione di consentire la massima apertura ai potenziali interessati e di garantire al tempo stesso la parità di condizione e di trattamento dei partecipanti.
 
Particolare attenzione è posta alle procedure di aggiudicazione dei contratti, classificate in tre tipologie – ovvero procedure “aperte”, “ristrette” e “negoziate” – in base al grado di apertura rispetto ai potenziali candidati. Nel caso di procedura aperta, infatti, ogni impresa interessata può avanzare la propria proposta, a differenza della procedura ristretta, dove l'offerta può essere presentata esclusivamente dalle imprese invitate dalle amministrazioni o dagli enti aggiudicatori. Nelle procedure negoziate, infine, le amministrazioni o gli enti aggiudicatori interpellano gli operatori economici scelti discrezionalmente e vi trattano i requisiti del contratto. Il ricorso a quest'ultimo tipo di procedura di aggiudicazione, sia per gli appalti pubblici di forniture che di lavori, deve essere circoscritto a circostanze giustificative tassativamente individuate, riconducibili alle categorie dell'eccezionale urgenza, dell'anomalia delle offerte a seguito di una procedura aperta o ristretta e delle prestazioni effettuate unicamente a scopo di ricerca e di sperimentazione. Le norme impongono che tali fattispecie vadano puntualizzate nel verbale che le amministrazioni aggiudicatrici redigono e trasmettono per ogni appalto aggiudicato, su richiesta della Commissione europea. Lo stesso documento, contiene l’elenco dei candidati o degli offerenti presi in considerazione e di quelli esclusi, nonché rispettivamente i motivi della scelta o del rigetto.
 
Per i servizi di pubblica utilità, come sempre, sussistono misure proprie. In merito alle procedure di aggiudicazione, il sistema risulta maggiormente flessibile, concedendo agli enti aggiudicatori la decisione tra le diverse modalità, salvo il rispetto degli obblighi di pubblicità.
 
A completamento dell’iter di assegnazione degli appalti pubblici, le direttive comunitarie fissano due criteri alternativi di aggiudicazione: il “prezzo più basso” e l’”offerta economicamente più vantaggiosa”. Naturalmente, l'applicazione del secondo parametro richiede una espressa formalizzazione – nel capitolato d'oneri o nel bando di gara – di numerosi fattori funzionali all'appalto (quali ad esempio il termine di esecuzione o di consegna, il costo di utilizzazione, il rendimento, il valore tecnico e, per gli appalti di forniture, anche la qualità, il carattere estetico e funzionale, il servizio successivo alla vendita e l'assistenza tecnica).
 
Il pacchetto di direttive comunitarie dei primi anni Novanta, infine, si completa con le cosiddette direttive ricorsi (Direttiva 89/665/CE del 21 dicembre 1989 per i ricorsi nei settori classici e Direttiva 92/13/CE del 25 febbraio 1992 per i ricorsi nei settori speciali. Entrambe saranno modificate l’11 dicembre 2007, con l’entrata in vigore della Direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive ricorsi per «quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici»), le quali coordinano le disposizioni nazionali sulle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici classici e speciali. L’obiettivo principale delle direttive 89/665 e 92/13 è salvaguardare l’ottemperanza alle norme mediante l’eliminazione delle barriere create dalle peculiarità dei sistemi amministrativi locali. Obiettivo perseguito garantendo la tutela giuridica dei soggetti privati che subiscono decisioni e comportamenti delle amministrazioni aggiudicatrici in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici.
 
Le misure adottate con il pacchetto di direttive europee dei primi anni Novanta divengono poco dopo l’oggetto della Comunicazione della Commissione europea n. 583 del 27 novembre 1996 – «Gli appalti pubblici nell’Unione europea: spunti di riflessione per il futuro». Nel documento emergono le numerose criticità derivanti tanto da un recepimento problematico delle direttive, quanto da una loro erronea trasposizione. Si riscontrano due principali ordini di complicazioni: da una parte, problemi di natura “tecnica”, quali il richiamo nella disciplina statale a principi differenti da quelli racchiusi nelle direttive, la qualità mediocre di bandi e avvisi di appalto e, infine, l’impiego di regole di selezione e aggiudicazione incongruenti con l’impianto procedurale delle direttive. Dall’altra parte, si evidenziano comportamenti elusivi della norma comunitaria da parte delle amministrazioni locali, che troppo spesso optano per procedure negoziate, superandone i limiti tassativi per l’applicazione oppure evitano di adottare i principi fondamentali del Trattato in relazione ad ambiti non strettamente ricompresi nelle discipline di settore.

Alla luce delle incertezze segnalate, la Commissione propone – nel citato Libro Verde del 1996 – di potenziare i sistemi di vigilanza e controllo delle procedure di aggiudicazione negli Stati membri e di approntare tecniche di risoluzione per ripristinare, nel caso di violazioni, uno status aderente al diritto europeo. In più, viene prospettata la creazione di un network di autorità indipendenti, al fine di verificare l’adeguata attuazione delle direttive sugli appalti.
Muovendo dai pareri inviati nel corso della consultazione sul Libro Verde, la Commissione Europea perfeziona la Comunicazione sugli appalti pubblici COM (98) 143 dell’11 marzo 1998, in cui si riconosce la necessità di semplificare il quadro normativo e rendere più flessibili le procedure applicative, anche adeguandole alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie elettroniche. Nello stesso documento, inoltre, si annuncia l’adozione di un nuovo pacchetto legislativo, che vedrà la luce il 31 marzo 2004, con le direttive 17 e 18 del Parlamento europeo e del Consiglio che coordinano, rispettivamente, le procedure di appalti degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali e le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. Le direttive ricorsi restano invece in vigore.
La Direttiva 2004/18/CE ha il merito di unificare tutte le norme comunitarie in materia di appalti pubblici (esclusi naturalmente i settori speciali oggetto della direttiva 2004/17), sostituendo le tre precedenti direttive in materia di lavori, forniture e servizi.
 
L’articolo 29 della dir. 2004/18 introduce una nuova procedura di aggiudicazione – denominata dialogo competitivo – «alla quale qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare e nella quale l’amministrazione aggiudicatrice avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati saranno invitati a presentare le offerte» (Art. 1, par. 11, lett. c), dir. 2004/18/CE). Tale procedura flessibile può essere utilizzata in caso di progetti particolarmente complessi nei settori classici, poiché in grado di salvaguardare sia la concorrenza tra operatori economici sia la necessità delle amministrazioni aggiudicatrici di discutere con ciascun candidato tutti gli aspetti dell’appalto.
Tale situazione può in particolare verificarsi per l'esecuzione di importanti progetti di infrastruttura di trasporti integrati, di grandi reti informatiche, di progetti che comportano un finanziamento complesso e strutturato, di cui non è possibile stabilire in anticipo l'impostazione finanziaria e giuridica.
Un appalto pubblico è considerato «particolarmente complesso» quando l’amministrazione aggiudicatrice:
- non è oggettivamente in grado di definire, conformemente all’articolo 23, paragrafo 3, lettere b), c) o d), i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi, e/o
- non è oggettivamente in grado di specificare l’impostazione giuridica e/o finanziaria di un progetto.
 
Tuttavia tale procedura non deve essere utilizzata in modo che limiti o distorca la concorrenza, in particolare mediante modifiche di elementi sostanziali delle offerte o imponendo elementi nuovi sostanziali all'offerente scelto ovvero coinvolgendo qualsiasi altro offerente che non sia quello che ha presentato l'offerta economicamente più vantaggiosa (Considerando n. 31, dir. 2004/18/CE).
 
Dall’analisi ad ampio spettro delle direttive di ultima generazione si evidenzia un ruolo sempre più centrale delle amministrazioni aggiudicatrici, nell’ottica della realizzazione degli obblighi di risultato, Sempre maggiore discrezionalità, infatti, emerge da istituti come la procedura negoziata o il dialogo competitivo.
L’ipotesi di un maggiore potere decisionale in capo alle amministrazioni nella realizzazione delle regole comunitarie aspira a tutelare la loro effettività, laddove si realizzi la condizione che il legislatore nazionale o regionale operino una lettura riduttiva del contenuto delle regole stesse. Alle amministrazioni aggiudicatrici è quindi permessa una maggiore libertà di azione attraverso moduli organizzativi inediti e più flessibili, «pur nel pieno rispetto dei principi fondamentali di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e tutela giurisdizionale».
Ciò costituisce, secondo il giudizio di autorevole dottrina, la trasposizione sul piano giuridico della classificazione di derivazione economica tra integrazione negativa – conseguita innanzitutto attraverso norme di divieto, misure tariffarie e limitazioni agli aiuti di stato, con il fine di rimuovere le barriere per la realizzazione del mercato – ed integrazione positiva, realizzata tramite strumenti volti a garantire l’applicazione di regole uniformi (TORCHIA L., Il governo delle differenze. Il principio di equivalenza nell’ordinamento europeo).

 
Le direttive 17 e 18 sono state oggetto del pacchetto di misure presentato il 20 dicembre 2011 dalla Commissione europea, orientato a riformare la normativa in materia di appalti pubblici. Il pacchetto è compreso nell'ambito delle iniziative volte a favorire il completamento del mercato unico europeo prospettate nell'Atto per il mercato unico (Single Market Act) del 13 aprile 2011 e contiene esattamente le comunicazioni COM(2011)895, COM(2011)896 e COM(2011)897, inerenti rispettivamente i settori speciali, i settori classici e le concessioni.
Dopo un lungo ed articolato negoziato, le proposte sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014 e dal Consiglio l'11 febbraio 2014. Le direttive sono entrate in vigore il 18 aprile 2014.
La direttiva 2014/24/CE sugli appalti pubblici e la direttiva 2014/25/CE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, modificano e sostituiscono, rispettivamente, la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2004/17/CE, allo scopo di realizzare una semplificazione e una maggiore flessibilità delle procedure, nonché avvicinare la disciplina dei settori “speciali” a quella dei settori classici
.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 26/5/2016 - Serie di articoli dedicati all'assegnazione degli appalti pubblici