Già dalla fine del 2011 il commercio mondiale ha iniziato ad indebolire la propria crescita fino ad un livello che oggi appare irreversibile.

I colpi assestati dalla crisi alla domanda globale sembrano aver cambiato definitivamente, o quasi, i connotati del mercato internazionale.
Per fornire un termine di paragone è utile considerare che nei venti anni dal 1990 al 2011 il tasso di crescita medio annuo del commercio mondiale è risultato sempre superiore al 5%, mentre in base alle previsioni del WTO il valore nel 2015 sarà del 2,8% e nel 2016 del 4%.

 
Alla base del grande progresso pre-crisi degli interscambi globali vi era in particolare la crescita delle Catene globali del valore (GVC), ovvero catene di produzione internazionali frutto dei primi passi della globalizzazione.
Ad oggi, però, tali catene di produzione stanno esaurendo il loro effetto "aggregatore", soprattutto a causa della crescita della Cina, la quale si sta affrancando sempre di più dal suo iniziale ruolo di assemblatore - parte di catene di produzione internazionali - per divenire man mano sede dell'intero processo produttivo di molti beni manufatti.

 
La reazione più forte da parte degli operatori ai primi cambiamenti strutturali del mercato globale è stata l'utilizzo sempre più marcato di misure protezionistiche e l'allontanamento dai tavoli di trattativa per accordi commerciali multilaterali.
Il mercato globale si stava restringendo e il gigante cinese iniziava a spaventare sempre di più i vecchi esportatori occidentali, i quali in fretta e furia hanno riparato sotto il cappello statunitense, ultimo baluardo dell'ancien regime del commercio mondiale.
Tra il 2007 ed il 2014, infatti, tutti i maggiori paesi esportatori hanno progressivamente perso quote dell'export mondiale (-1,4% la Germania, -1,2% l'Italia, -0,9% la Francia) ad eccezione della Cina, che in quel lasso temporale ha aumentato di circa il 4% la sua porzione di export, e marginalmente degli USA che hanno ricavato 0,4 punti percentuali.

 
In sintesi, è in atto una ricomposizione della geografia commerciale, caratterizzata da accordi di partnership sempre più localizzati e dall'uso di pratiche protezionistiche da parte degli Stati.
Ad oggi, quindi, Cina e Stati Uniti sono i due poli di attrazione dell'import/export mondiale ed i due colossi stanno attuando importanti interventi per conquistare sempre maggiori quote di mercato.
Se da una grande i grandi produttori asiatici iniziano a delocalizzare in Africa, dall'altra parte, gli imprenditori USA guardano al mercato europeo (accordo commerciale Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP) e occidentale in generale (accordo commerciale Trans Pacific Partnership, TPP).

 
La particolarità della strategia commerciale statunitense è la scelta di non includere la Cina nei principali accordi di interscambio finora conclusi - nonostante nel corso del primo trimestre del 2015 l'importo USA dalla Cina sia aumentato del 10,1% - creando così un clima di sfida per la leadership del commercio globale.
 
Ancora una volta nel corso della storia, il mondo è diviso tra due fuochi.
Sembra profilarsi una post-iperglobalizzazione dove gli equilibri tra Cina e USA caratterizzeranno gli andamenti dell'intero sistema economico mondiale.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 06/07/2015
 
BIBLIOGRAFIA
  • FOCUS BNL n. 20: Il commercio mondiale a un bivio, 5 giugno 2015