Dopo un lungo periodo di crisi che ha portato alla caduta dei principali indicatori economici, l'ultimo trimestre del 2014 ha portato ad un'inversione di tendenza che potrebbe essere determinante.
In particolare, il riferimento è al +0,2% della domanda interna (valore sempre negativo dalla fine del 2010); al +0,1% della spesa delle famiglie e al +0,2% degli investimenti delle imprese. Anche la moderata flessione del PIL 2014 può essere considerata una buona notizia, dopo anni di forte indebolimento.
Naturalmente i dati appena citati vanno considerati nel quadro generale della decrescita degli ultimi anni, durante i quali i consumi privati sono calati di otto punti percentuali, mentre gli investimenti in attività produttive hanno perso oltre il 30% rispetto al primo trimestre 2008.
Si tratta quindi di timidi segnali che vanno sì considerati, ma nella giusta prospettiva.
Come spesso accade per il sistema produttivo nazionale, le esportazioni hanno un ruolo centrale per la crescita. Analizzando la bilancia commerciale italiana si può osservare il passaggio dal deficit del 2011 (iniziato nel 2003) al surplus del 2012, fino ad un livello pari a 43 miliardi nel 2014. In quest'ultimo anno le esportazioni sono cresciute del 2%, raggiungendo per la prima volta il valore assoluto di 400 miliardi di euro.
Parallelamente, le importazioni del 2014 hanno registrato una flessione dell'1,6%, superando complessivamente il 12% di calo nell'ultimo triennio (si sottolinea il minore deficit della spesa per l'energia sceso da 72 a 58 miliardi di euro, Vedi articoli "Petrolio e geopolitica: i risvolti sull'economia globale delle fluttuazioni del prezzo dell'oro nero").
 
Lo studio comparato delle bilance commerciali delle maggiori economie UE pone l'accento sulla solidità del risultato italiano, ma al contempo evidenzia il ritardo rispetto alla Germania, ancora leader incontrastato dell'export.
Mentre Spagna e Francia, infatti, segnalano deficit della bilancia commerciale rispettivamente pari a 25 e 70 miliardi di euro, la Germania corregge il surplus a 220 miliardi, 5 volte il surplus italiano (43 miliardi).
Nonostante i risultati comunque confortanti sull'andamento dell'economia nazionale, vanno considerate le stime sul commercio mondiale di periodo del Fondo Monetario Internazionale, in base alle quali negli ultimi due decenni le esportazioni italiane hanno accumulato un ritardo in termini di minore crescita rispetto al commercio mondiale superiore ai 60 punti percentuali.
 
Gli ultimi anni di congiuntura economica fortemente negativa hanno inoltre concorso al mutamento dello scenario dell'export nazionale. Tra il 2007 ed il 2013 le esportazioni italiane al di fuori della UE hanno quasi raggiunto il 50% sulle esportazioni totali, anche per via di una stagnazione prolungata dell'export intra-UE e solo nel 2014 le vendite all'interno dell'Unione hanno segnato un incremento annuo del 4%.
A livello di singoli paesi, i trend si manifestano in forme eterogenee e variabili.
Per ciò che concerne gli andamenti negativi delle esportazioni extra-UE, a conferma delle differenti cause di declino, si rimarcano i casi della Russia e della Svizzera.
Nel primo caso, infatti, sono state le recenti criticità geopolitiche a determinare il calo trasversale delle vendite, per un complessivo -10% nel 2014 (al dettaglio, -15% abbigliamento, -20% calzature, -10% generi alimentari, - 50% autoveicoli); mentre per la Svizzera, è stata decisiva la flessione del mercato dei metali preziosi, che da solo nel 2012 costituiva più del 25% delle vendite italiane in Svizzera e al contrario nel biennio 2013-2014 ha registrato un -60%.
Rimanendo al di fuori dei confini comunitari, hanno invece osservato un trend positivo le esportazioni in Cina e negli Stati Uniti. Mentre nel caso della Cina - dove i settori con maggiore incremento di esportazioni sono i mezzi di trasporto (+50% nel 2014) e l'abbigliamento (+20%) - il peso sul totale delle esportazioni è un modesto 3%, negli USA l'export ha rappresentato lo scorso anno il 7,5% delle esportazioni totali (va comunque segnalato che nella prima parte del Duemila tale valore si attestava al 10%).
Anche all'interno dello spazio comunitario non c'è un andamento costante dell'export nostrano, poichè ad un aumento delle esportazioni nel Regno Unito (prodotti tessili e macchinari su tutti con il 25% del totale delle vendite italiane nel paese), in Germania ed in Spagna ha fatto da contraltare la contrazione del 4% in Francia.
 
Allo stesso modo, anche la composizione dell'export a livello settoriale risulta in evoluzione.
In particolare, colpiscono i 20 miliardi in esportazione di prodotti farmaceutici nel solo 2014, con un trend in crescita negli ultimi 10 anni; il +4% del settore dei macchinari ed il +7% dei mezzi di trasporto.
Si registra una ripresa anche nei beni storicamente esportati come prodotti tessili, abbigliamento e calzature, mentre si confermano gli andamenti negativi delle esportazioni di prodotti petroliferi raffinati e dell'elettronica. Per quest'ultimo settore, la bilancia commerciale vede un deficit di 10 miliari di euro.
 
La riflessione che deriva dalla lettura dei dati sull'export è che attualmente gli operatori economici devono considerare molti più fattori che condizionano la compravendita sui mercati internazionali rispetto agli anni pre crisi. Il sistema economico italiano, rispetto ai principali competitor, non beneficia di un sostegno proveniente dai soggetti istituzionali, spesso poco credibili e autorevoli.
Oggi più che mai appare indispensabile per gli imprenditori italiani "fare rete", per potersi relazionare - tanto a livello nazionale, quanto internazionale - con un pubblico di soggetti sempre più educato al consumo e slegato da logiche di prossimità nell'acquisto.
 
 
BIBLIOGRAFIA
  • BNL FOCUS N. 12 "Un export diverso per aiutare la ripresa italiana", 27/3/2015.